venerdì 11 luglio 2008

IO E LA MATEMATICA

T02 IO E LA MATEMATICA

- Riflessioni personali sulla matematica-

Per raccontare del mio rapporto con la matematica devo prendere in considerazione tutto il mio percorso scolastico, perché nel tempo esso è cambiato notevolmente.
Partendo dalla scuola primaria affiorano alla mente ricordi del tutto positivi. Ho ancora negli occhi il secondo e il terzo anno di scuola quando abbiamo iniziato ad affrontare i problemi: l’insegnante (la maestra Monica!) ci faceva mimare con delle scenette il testo del problema, quindi ad esempio quando Marco tornando a casa da scuola perdeva una matita, Marco in classe metteva in scena dal vivo questo racconto. In questo modo eravamo protagonisti, e rimaneva impresso maggiormente nella mente il ragionamento, e di conseguenza il procedimento, da fare per la sottrazione.
Ritengo che questa modalità sia ottimale, in quanto fruttuosa e duratura.
Guardando la mia esperienza e riflettendo sull’attività di tirocinio del terzo anno universitario, noto con evidenza che non bisogna imporre ai bambini di imparare a memoria calcoli preconfezionati, ma far sorgere in loro il bisogno di utilizzare le operazioni, come unico metodo per arrivare ad una soluzione.
Inoltre penso sia fondamentale un buon rapporto con l’insegnante e una stima nei suoi confronti. Nell’azione dell’insegnamento c’è un forte richiamo al piano affettivo: quando i bambini stimano la maestra, sono contenti quando ci sono le sue ore di lezione. Questo è un incentivo ad ascoltare e prestare attenzione durante le spiegazioni in classe, che sono indispensabili per comprendere e memorizzare i contenuti trasmessi. Affrontare una lezione con il sorriso sulle labbra porta ad una produttività maggiore.
Passando al ciclo scolastico delle medie inferiori il primo ricordo circa la matematica che si manifesta nella mia mente riguarda le conseguenze della metodologia utilizzata dalla mia professoressa. Eravamo sempre stimolati a ragionare su ogni attività matematica, sempre incoraggiati a scoprire la logica che era sottesa ai problemi. Ci faceva letteralmente “spremere le meningi”! Questo ha trasmesso in me una grande passione per la logica e ad esempio per i giochi di ragionamento. Principalmente la nostra insegnante credeva in noi, era certa del fatto che tutti potessero arrivare alla soluzione perché tutti eravamo in grado di pensare. Quest’ultimo fattore è di grande importanza perché sia come alunni, sia come persone, ci sentivamo sostenuti, stimati nel particolare della matematica, ma era semplice allargare questa stima a tutta la nostra vita.
Penso all’insegnamento come professione umana: vi è la centralità della persona in prima linea. Innanzitutto dell’insegnante perché ne emergono le caratteristiche più intrinsecamente umane insite nello svolgimento del compito educativo. Secondariamente parlando, ma non di seconda importanza, vi è l’umanità dell’alunno, che sentendosi supportati da docenti solidali, riesce meglio nel suo compito.
Adesso mi avvio a raccontare del periodo più critico rispetto al mio rapporto con la matematica…il liceo! Alle scuole superiori ho frequentato il liceo delle scienze sociali ad indirizzo scientifico. Per questa accezione “scientifico” a noi era richiesto un livello medio-alto della matematica. Qui sono iniziati i problemi!!! Su questo ha influito molto la docente: fin da subito ha affermato che la matematica non è per tutti, ovvero è per chi ha una mente predisposta ad essa. In parte questa affermazione è condivisibile, nel senso che coloro che hanno una mente scientifica riscontrano meno problemi, ma dall’altra in questo modo si taglia fuori una fetta importante di interlocutori nella classe, che hanno altre attitudini, ma non possiedono una spiccata intelligenza matematica; non sentendosi quasi presi in considerazione non sono incentivati a scommettere su quella determinata disciplina e a fare del loro meglio.
Per questi motivi (e tanti altri) il mio rapporto con la matematica alle scuole superiori è stato tragico! Mi ricordo che ogni volta che avevo lezione con quella professoressa mi veniva male allo stomaco, e il risveglio della mattina del compito in classe era traumatico. Vi era una demotivazione di fondo ad affrontare quella disciplina, mi sentivo ormai rassegnata al non avere risultati positivi, nonostante cercassi di impegnarmi nello studio. Molte volte (lo ammetto…non sempre…) andavo a ripetizioni, studiavo con compagne più brave, ma sembrava sempre avere pochi riscontri come comprensione e la conseguente valutazione.
Per fortuna non mi sentivo definita totalmente come persona da questa grave lacuna scolastica che avevo. Anzi, nonostante questa negativa esperienza io desidero essere un’insegnante nel mio futuro professionale, naturalmente prendendo il meglio dalle insegnanti che ho incontrato nella mia carriera scolastica.
Mi rendo conto che nell’insegnamento, ma come in tante altre professioni, entra in gioco un forte richiamo al piano affettivo ed emotivo. E’ spinto da forti motivazioni pedagogiche: aiutare a crescere gli alunni, che prima di tutto sono persone, potenziali adulti, e guidarli nel cammino della conoscenza innanzitutto, ma non solo.
Stendere questa relazione trattando del mio rapporto con la matematica mi ha fatta riflettere sul come caratterizzare la mia futura azione di insegnamento, perché viene spontaneo introdurre attribuzioni riferite alle esperienze vissute personalmente su di sé come discente. La definizione dei tratti distintivi di insegnamento è, dunque, essenzialmente manifestata attingendo e ripensando a figure carismatiche (sia positivamente che negativamente) di docenti incontrati lungo il proprio cammino di studio.

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